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Luglio
01
2008

Il rigassificatore a Gioia Tauro. Ma è un rischio necessario?

Scritto da TerritoRioT

Qualche giorno fa la Commissione Europea ha deciso di accordare un finanziamento di circa 1,6 milioni di euro a fondo perduto per il Progetto del terminale di rigassificazione di G.N.L. di Gioia Tauro, inserendolo tra i 15 progetti ammessi ai finanziamenti comunitari all’interno del Programma TEN-E a sostegno dello sviluppo delle infrastrutture energetiche europee. Questa decisione è stata salutata con entusiasmo da un ampio fronte politico-sindacale perché “grande occasione di sviluppo per la Calabria e per tutta la Piana di Gioia Tauro”.

Un rigassificatore è un impianto che permette di riportare allo stato “normale”, quello gassoso, il GNL (gas naturale liquefatto), ossia gas che attraverso un forte abbassamento della temperatura viene reso liquido per poter essere più facilmente trasportato: ad una temperatura di -160°, 600 litri di gas sono condensati in circa 1 litro di liquido GNL.

Il terminale di Gioia Tauro ha una capacità di 12 miliardi di m³ di gas e, a regime, assicurerà una copertura pari a oltre il 10% della domanda nazionale. Lo realizzerà la Lng MedGas, la società che fa capo a Sorgenia (la società del gruppo Cir di Carlo De Benedetti detiene il 35%), Iride (nata dalla fusione tra le municipalizzate di Torino e Genova che detiene un altro 35%) e CrossNet del Gruppo Belleli (30%). Il costo complessivo del terminale si aggira tra i 600 e gli 800 milioni di euro (si aspetta il progetto esecutivo) e dovrebbe entrare in funzione nel 2013. Rispetto all’unico rigassificatore attivo, quello di Panigaglia (SP), ed ai progetti approvati o in attesa di autorizzazione (in tutto una dozzina), l’impianto di Gioia Tauro è il più grande.

Ma sono necessari tutti questi rigassificatori? Il fatto è che gli italiani sono facilmente preda di incubi e gli industriali ne approfittano subito! Come l’incubo black-out ha fatto spuntare centrali elettriche come funghi, così la crisi tra la Russia e l’Ucraina del 2006 ha fatto sì che nascesse la paura cronica della chiusura dei rubinetti del gas e partisse la ricerca spasmodica di nuove forme di approvvigionamento. Ma cosa era successo durante quel gelido inverno? La Russia, che fino ad allora aveva fornito all’Ucraina il gas a prezzo di favore, decide di passare al prezzo di mercato e, per far capire che non è uno scherzo, comincia a chiudere i rubinetti. Il gasdotto con il quale la Russia rifornisce l’Italia passa dall’Ucraina: il panico della mancanza di gas ha preso i nostri governanti che da allora sono alla ricerca di forniture alternative.

Ma il pericolo è così reale? A parte il fatto che l’idea di una Russia che non ci venda più gas appare oggi pura fantapolitica (fino a quando potrà esportare gas, che è sempre una risorsa finita), bisogna anche considerare un dato, che naturalmente le lobbies energetiche ed i loro giornali non ci diranno mai: in quell’inverno del 2006 il gas c’era, ma era molto più conveniente trasformarlo in energia elettrica da vendere all’estero piuttosto che usarlo per riscaldamento, fatto riconosciuto dalla Autorità del gas che perciò ha multato l’Eni. Ed infatti l’obiettivo non è costruire rigassificatori perché siamo a corto di gas! Non è questo il fine di questi impianti!

In un documento datato 2003, l’Eni prevedeva intorno al 2015 una quantità di gas per l’Italia superiore alle necessità, con solo due rigassificatori e senza contare il raddoppio del gasdotto algerino. In un documento del 2006 della Commissione Attività Produttive della Camera, durante il governo Berlusconi, senza troppi giri di parole si dice che l’obiettivo è fare dell’Italia un vero e proprio hub del gas nel Mediterraneo, un centro importante di passaggio e smistamento: non si parla quindi di interesse nazionale ma della possibilità per alcune società private di vendere gas a tutta Europa.

Ed a rischiare saranno solo le popolazioni che subiranno gli impianti, come quella della Piana di Gioia Tauro, mentre queste società venderanno le loro energie “pulite” e “sicure” nel resto del continente. Nel parlare infatti di rigassificatori non si può prescindere dal parlare dei rischi che questi impianti comportano, impianti che per necessità vengono costruiti nei pressi dei porti, dove già c’è di tutto - dai poli chimici ai depositi di gas e petrolio - e dove spesso capitano incidenti: dalle fuoruscite di greggio a Taranto e Napoli, a quella di carburante a Priolo con conseguente esplosione e incendio.

Piero Angela, il famoso conduttore di Quark, descrive nel suo libro “La sfida del secolo” le condizioni che si potrebbero verificare in seguito a qualche sciagurato incidente: «Il gas freddissimo, a contatto con l'acqua di mare, molto più calda, inizierebbe a ribollire, a evaporare e formare una pericolosa nube. Questa nube di metano evaporato rimarrebbe più fredda e più densa dell'aria e potrebbe viaggiare sfiorando la superficie marina, spinta dal vento, verso la terraferma. Scaldandosi lentamente la nube comincerebbe a mescolarsi con l'aria. Una miscela fra il 5 e il 15 percento di metano con l'aria è esplosiva. Il resto è facilmente immaginabile», e ancora «Se questa miscela gassosa, invisibile e inodore, investisse una città, qualsiasi (inevitabile) scintilla farebbe esplodere la gigantesca nube. La potenza liberata in una o più esplosioni potrebbe avvicinarsi a un megaton: un milione di tonnellate di tritolo, questa volta nell'ordine di potenza distruttiva delle bombe atomiche. Le vittime immediate potrebbero essere decine di migliaia, mentre le sostanze cancerogene sviluppate dagli enormi incendi scatenati dalla esplosione, ricadendo su aree vastissime, sarebbero inalate in "piccole dosi", dando luogo a un numero non calcolabile, ma sicuramente alto, di morti differite nell'arco di 80 anni».

Certo le grandi società considerano queste ipotesi alquanto improbabili (comunque non impossibili) ma, per quanto remoti, è necessario che questi rischi vengano presi in considerazione, per garantire la sicurezza e la vita di tutti i cittadini.