Cronaca di una giornata di lotta
Un resoconto a cura di AfriCalabria della giornata del 13 gennaio a Roma
“Mi fa male la gola… ho parlato troppo” dice Ibrahim, massaggiandosi sotto il mento. “Anche a me” gli fanno eco sorridendo Ahmed e Lamin, marocchino uno e senegalese l’altro. Sono braccianti di Rosarno. Per tutta la giornata hanno parlato a giornalisti che prendevano appunti, davanti a telecamere, per telefono con le radio… Ibrahim, ch’è della Costa d’Avorio, in francese, perché si sente più sicuro ad esprimere i propri pensieri. Lamin e Ahmed più temerari affrontano il microfono in italiano, parlando anche alla piazza, agli italiani presenti e ai loro fratelli che a centinaia sono venuti da Foggia, da Rosarno e da altri luoghi. Mentre Momo, un altro bracciante della Costadavorio, scandisce al megafono slogan con uno strano accento del nord, 300 africani volgono le spalle alla basilica di Santa Maria Maggiore per esporre striscioni, cartelloni, manifesti di cartapesta, in direzione del Ministero degli Interni. Molti di loro hanno viaggiato tutta la notte in autobus. Ma non sembrano affatto stanchi. Ancora dopo l’imbrunire continuano a ballare musica afro e martellare sui jambé.
Siamo a Roma, a Piazza Esquilino. 13 gennaio 2012, da poco passato il secondo anniversario della rivolta di Rosarno. Siamo nel bel mezzo della campagna di mobilitazioni cominciata il 7 gennaio nella piana di Gioia Tauro, alla seconda zona industriale di San Ferdinando, con l’occupazione simbolica della terra da parte di numerosi braccianti africani ed associazioni aderenti ad “Africalabria, uomini e donne senza frontiere, per la fraternità”. La campagna culminerà il 21 e il 22 con la vendita in piazza in molte città italiane delle arance di “Ingaggiami contro il lavoro nero”. Una giornata molto intensa quella del 13, cominciata la mattina, appena sbarcati da Rosarno e Foggia, direttamente davanti al Ministero dell’Agricoltura, per sollevare il problema dell’intero sistema agroindustriale dominato dalla Grande Distribuzione Organizzata quale generale circuito di sfruttamento in cui si colloca la drammatica situazione dei braccianti immigrati stagionali che vagano per le regioni del sud Italia. Una questione affrontata da diverse realtà nazionali in un percorso coordinato di mobilitazione e lotta che dura ormai da due anni. “La terra è la sola sorgente che non si prosciuga mai / Ma la sorgente della terra è muta ormai / Perché gli agrumi non sono pagati al giusto prezzo”. Sono alcuni versi di una poesia che Ibrahim ha scritto per l’occasione e che recita in piazza. Sintetizza le ragioni dei braccianti e dei piccoli contadini, due istanze che si vanno progressivamente intrecciando in questo percorso che attraversa tutta l’Italia e coinvolge associazioni di solidarietà come Finis Terrae, l’Osservatorio antirazzista Pigneto Prenestino, le Brigate di Solidarietà Attiva… associazioni contadine come ARI – Associazione Rurale Italiana, Campi Aperti, Terra Terra, La Ragnatela, i Gruppi d’Acquisto Solidali che da Napoli a Brescia acquistano le arance di SOS Rosarno, la campagna lanciata da EquoSud… Centri sociali come l’ex-Snia di Roma e il Cartella di Reggio e poi ancora la Flai CGIL, Rifondazione Comunista, realtà dell’autorganizzazione come l’Assemblea dei Lavoratori Africani di Roma fino a tutte le realtà della piana di Gioia Tauro, ormai numerose e dislocate in vari paesi, che aderiscono ad “Africalabria, donne e uomini senza frontiere, per la fraternità”. Tutti assiepati insieme a centinaia di braccianti sul marciapiede antistante il Ministero dell’Agricoltura e Foreste, mentre una delegazione viene ricevuta ad interloquire con alcuni funzionari (c’è consiglio, il ministro non può). L’agricoltura non è una sola, i piccoli contadini rappresentano la maggioranza degli operatori, soprattutto in regioni come la Calabria, e le loro ragioni non possono essere rappresentate da organizzazioni egemonizzate da grossi proprietari e magnati dell’agroindustria. Come succede per la Confédération paysanne in Francia, il sindacato agricolo aderente alla Via Campesina, vogliono che le realtà associative che li rappresentano in Italia siano ascoltate dal governo. Vogliono poter incidere sulle politiche agricole, a cominciare dalla PAC (politica agricola comunitaria) che dal 2013 distribuirà 400 miliardi di fondi per sette anni e che fino ad oggi, soprattutto con le ultime riforme, ha premiato la grande proprietà e l’industria. Se qualcosa può cambiare, bisogna fare in fretta perché siamo in dirittura d’arrivo per l’entrata in vigore della nuova stagione.
Uscita la delegazione, gli slogan esplodono ancora più forti “AGRICOLTURA SI – LAVORO NERO NO – LAVORO NERO NO – LAVORO NERO NO!”. “Abbiamo avanzato le istanze riassunte nella doppia piattaforma su agricoltura contadina e diritti dei lavoratori immigrati. Siamo stati ricevuti con grande cortesia, ma per dirci soddisfatti attendiamo l’interlocuzione diretta col ministro nel merito delle questioni poste”. Il gruppo si muove quindi in un corteo improvvisato verso piazzale Esquilino. Tra gli sguardi stupiti di passanti e automobilisti che non capiscono bene, questa torma festosa di italiani e africani si muove dietro lo striscione che recita “il vostro made in Italy è macchiato del nostro sangue”, Momo continua ad agitare dal megafono “SA-NA-TO-RIA-SA-NA-TO-RIA” finché si arriva ai piedi di Santa Maria Maggiore e comincia il secondo round: Ministero degli Interni.
“La questione dei documenti e quella dei prezzi sono due facce della stessa medaglia. Se il prezzo non è sufficiente, i contadini non raccolgono le arance e noi restiamo disoccupati. Se noi siamo irregolari, anche se raccolgono non ci possono assumere…” così Diallo spiega l’intreccio che lega lo status giuridico dei migranti alle sorti dell’agricoltura contadina. Una massa di irregolari, o di regolari sempre esposti alla minaccia di ricadere nel limbo della clandestinità, fa il gioco di un sistema che usa sistematicamente la manodopera irregolare (in agricoltura l’incidenza più alta) per alimentare un circuito agroindustriale (primo settore economico in Italia) che scarica sulla manodopera l’abbassamento dei costi di produzione e costruisce i profitti abbassando i prezzi alla fonte, lasciando spazi di realizzazione solo a latifondisti, grossi commercianti e Grande Distribuzione. Sanatoria, adozione dell’articolo 18, abolizione della Bossi Fini sono dunque i contenuti fondamentali avanzati al Viminale, assieme a dispositivi come gli indici di congruità, che verificano la commisurazione tra prodotto realizzato e manodopera impiegata. La lotta al caporalato non può prescindere da questi passaggi, come afferma lo stesso Ivan, camerunense, uno dei leader dello sciopero di Nardò di quest’estate: “con lo sciopero abbiamo ottenuto una legge nazionale contro il caporalato. Ma se chi denuncia non può essere regolarizzato, questa legge non serve a niente”. È sostanzialmente il tema dell’articolo 18, sollevato anche dall’avvocato Arturo Salerni dell’associazione Progetto Diritti: “"Pensiamo che oggi si debba arrivare a una modifica dell`articolo 18 del Testo unico sull`Immigrazione per chi denuncia lo sfruttamento e la criminalità. La regolarizzazione per grave sfruttamento favorisce l`emersione e una sanatoria porterebbe a un recupero contributivo e fiscale". “Ma la questione dei braccianti stagionali è anche una questione di accoglienza”, dice un esponente di Africalabria dal microfono. “A due anni dalla rivolta a Rosarno non è cambiato niente da questo punto di vista, se non che, per evitare lo scandalo delle grandi concentrazioni nelle ex-fabbriche lungo la nazionale, gli africani sono costretti a rifugiarsi nei casolari più interni, senza acqua e senza luce, col rischio perenne che il tetto gli crolli sulla testa… Una situazione che richiede interventi d’emergenza”.
Tutti temi avanzati dalla delegazione ricevuta al Ministero dal Prefetto Pria, in attesa, anche qui, di un’interlocuzione diretta col Ministro che affronti concretamente il merito delle questioni. Un’interlocuzione incoraggiata dalle recenti dichiarazioni aperturiste del Ministro della Cooperazione e dell’Integrazione Andrea Riccardi, circa la necessità di ''allungare da sei mesi ad un anno il tempo per poter cercare un nuovo lavoro'' per gli immigrati disoccupati nel quadro delle procedure previste dalla Bossi-Fini. Lo stesso ministro sarà oggi a Rosarno, su sollecitazione diretta del sindaco Elisabetta Tripodi e, riteniamo, delle manifestazioni in atto. Un esito concreto sembra già profilarsi, con la prossima realizzazione, vicino al campo container di 120 posti già esistente, di una tendopoli per 250 persone circa, volta a decongestionare i siti più critici.
A fine giornata, gli africani tornano agli autobus consapevoli che la lotta è solo all’inizio. Continuerà nelle campagne da cui sono venuti, per i diritti, un’accoglienza degna, condizioni di lavoro rispettose… ma continuerà anche, già dal giorno dopo, nelle grandi città dove si collocano gli snodi principali di quella Grande Distribuzione Organizzata, che governa tutto questo sistema di sfruttamento che parte dai campi e arriva ai banchi dei supermercati, schiacciando i braccianti, strozzando i piccoli contadini e consegnando i territori contemporaneamente all’abbandono e alle speculazioni degli accaparratori:
“Chiudono i piccoli negozi e cresce la quota dei supermercati e centri commerciali così come alla chiusura delle piccole aziende agricole si accompagna una progressiva concentrazione delle terre. In questa situazione, che ha visto la Superficie Agricola Utilizzata dimezzarsi in 30 anni, il governo pensa bene di alienare i terreni agricoli di proprietà pubblica. Un altro regalo agli accaparratori, siano latifondisti, affaristi legati alle speculazioni edilizie o finanziarie, o ancora magnati dell’agrobusiness. Ma quelle terre sono nostre!”. Tuona la denuncia di un esponente di EquoSud davanti al centro commerciale Auchan di Casal Bertone. È la seconda giornata della resistenza contadina e bracciantile, dopo i palazzi del potere la protesta si sposta davanti ai templi della Grande Distribuzione Organizzata, vera controparte economica di questo fronte. Succede a Roma, come a Napoli, a Bologna, a Torino... Tutti in piazza con le arance di SOS Rosarno, biologiche di produttori piccoli della piana che assumono regolarmente la manodopera. L’alternativa in piazza intrecciata con la denuncia e la protesta. Una circostanza che a Roma infastidisce molto la security del centro commerciale e le forze dell’ordine, presenti in numero addirittura superiore che non il giorno prima in piazza, nervose ad intralciare gli associati dei gruppi d’acquisto che insieme ai membri di EquoSud e Africalabria, agli africani e ai militanti del c.s.o.a. ex-Snia e dell’Osservatorio Antirazzista Pigneto-Prenestino dispongono le cassette di arance etiche all’ingresso del centro commerciale per distribuirle ai passanti, esponendo il prezzo trasparente e quello che comporta: “40 € al giorno più contributi per ogni bracciante assunto”.
“Negli ultimi 20 anni 16.000 aziende agricole hanno chiuso in Calabria. Nel 1995 ogni ettaro di agrumeto produceva 300 quintali per un prezzo di 500 lire al kg e un utile finale di 10 milioni. Oggi ogni ettaro produce in media 400 quintali a 0,15 € al kg con un utile di 2.000 euro. Le clementine, che sono il cuore economico dell’agrumicultura della piana, vengono pagate sugli alberi anche a 11-12 centesimi ai commercianti che poi le rivendono alla Grande Distribuzione! Uno scandalo che coinvolge anche la Coop, la prima istanza della Grande Distribuzione italiana, che vanta progetti di fare trade e impone codici di condotta sulla sostenibilità ecologica e sociale per poi pagare le clementine a 25 centesimi al kg!”.
Una denuncia cui fa eco ancora una volta Ibrahim, esponente di quella manodopera immigrata a bassa qualifica che continua a crescere come peso relativo nella composizione della manodopera agricola, con i suoi versi che ben sintetizzano il concetto di sovranità alimentare, uno dei leitmotiv di queste giornate:
la terra nutre il suo uomo
la produzione va male
perché i prezzi sono al ribasso
le terre s’impoveriscono
i dirigenti si arricchiscono
la terra nutre il suo uomo
i contadini sono feriti
quando il cerchio dei ricchi si espande
i contadini muoiono
quando il cerchio dei ricchi si espande
le piantagioni muoiono
il popolo piange
i governanti ridono
perché le tasche sono piene
le cime abbellite
la base distrutta
ma comunque
la terra nutre l’uomo
non ci sono paesi forti senza un’agricoltura forte
un uomo che ha fame non è un uomo libero.
facciamo in modo che i nostri popoli non abbiano fame per la felicità delle repubbliche
e il successo del pianeta terra…………………
vigiliamo!