La centrale di Saline: ci SEI o ci API?
Negli ultimi tempi c’è stato un gran parlare attorno al progetto, presentato dalla SEI SpA, di realizzare una centrale a carbone nell’area della ex Liquichimica di Saline Joniche. Si tratta di un investimento di circa un miliardo di euro per realizzare una centrale termoelettrica con la potenza di 1320 MW, con raffreddamento ad acqua di mare.
La SEI (Società Energia Saline composta da Ratia Energia G.A., Hera S.p.A., Foster Wheeler Italiana S.p.A., Apri Sviluppo) vorrebbe quindi ricorrere a quella che è considerata, tra le varie fonti energetiche, quella che produce la maggiore quantità di CO2, ossido di azoto e zolfo e polveri, tutte sostanze altamente cancerogene, cardiotossiche o capaci di interferire sullo sviluppo del sistema nervoso: quel carbone il cui utilizzo per la produzione di energia elettrica è vietato dal Piano energetico regionale per tutto il territorio calabrese.
Ma alla svizzera Ratia, promotrice del progetto, tutto questo non interessa. Il carbone è economicamente vantaggioso e la sua disponibilità è maggiore rispetto a petrolio e gas.
Per quanto riguarda poi il contenimento delle emissioni, il progetto prevede l’immissione, in appositi contenitori installati nel sottosuolo, della CO2 prodotta: una tecnologia che, secondo la Commissione Europea dedicata alla prevenzione ed al controllo dell’inquinamento, porterebbe ad un aumento dei costi di produzione che va dal 35 al 70%. In ogni caso è una tecnica di cui ancora non si conoscono i rischi, specie di tipo geologico, a cui si potrebbe incorrere.
E così il sito dell'ex Liquichimica sembra sia stato già rilevato dalla società svizzera, controllata per circa il 21% da quella EGL che ha realizzato la centrale turbogas di Rizziconi.
All’ipotesi carbone si è però contrapposto da subito un fronte ampio, variegato e che ha coinvolto diversi comuni dell’area, Provincia e Regione. Un fronte del “no” che si è mostrato compatto e capace, in poco tempo, di far richiedere alla stessa SEI la sospensione dell’iter autorizzativo e della procedura di Valutazione di Impatto Ambientale. Pericolo scampato? Neanche per sogno: solamente una pausa strategica, visto che il progetto sta andando avanti, senza che la giunta regionale abbia fatto pervenire a Roma il suo già annunciato definitivo no.
Ma mentre la SEI aspetta tranquilla il compimento burocratico dell’iter, quatto quatto sembra muoversi dietro le quinte un nuovo personaggio: l’API, l’holding petrolifera riconoscibile dal suo focoso destriero nero. Pare infatti che una società del gruppo, l’API Nòva Energia, sarebbe interessata a realizzare nell’area di Saline Joniche una centrale solare da 50MW, una tra le più grandi del mondo.
Il solito business dell’energia “alternativa” con l’API Nòva Energia, già presente in Calabria con la controllata Biomasse Italia e le sue due centrali di Strongoli e Crotone, che non abbandona certo il modello “centralizzato”: una mega centrale solare del genere, anche se sicuramente meno inquinante, mantiene le grosse problematiche legate poi al trasporto dell’energia, come la costruzione di elettrodotti e le inevitabili perdite della rete. Se una volta aveva senso (oggi non più…) realizzare una centrale a carbone poiché era più conveniente trasportare l’energia che il carbone, lo stesso non si può dire per il sole, il vento, le biomasse, ovunque disponibili. E lo stesso vale per le altre fonti fossili.
Ma allora, non ci sarebbe molto più rispetto per l’ambiente, molto meno spreco di energia, molti più posti di lavoro, se si investisse in un modello “decentralizzato” grazie alle opportunità offerte dalle fonti rinnovabili? Già, è vero! In questo caso a guadagnarci saremmo noi, e non i signori dell’energia!
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