Parliamo di Decrescita
È convinzione diffusissima che soltanto attraverso la crescita economica si possa garantire benessere per tutti. I telegiornali e i quotidiani non fanno altro che parlarci di PIL, rischio stagnazione e pericolo recessione, come se la nostra vita, salute, serenità, dipendessero esclusivamente da questi fattori che invece sono assolutamente economici.
La “decrescita” è il tentativo di stravolgere questo principio, riportando al centro della nostra attenzione, dominata oggi dal mercato e dai suoi diabolici indici, l’uomo con i suoi bisogni reali.
La società della crescita, quella in cui viviamo, si regge sulla smania di accumulare denaro: a tal fine è necessario produrre sempre più merci, anche quando non servono, tanto la loro unica utilità è quella di essere vendute. Allora tutto diventa buono per questo scopo, tutto diventa merce: la terra, l’acqua, la scuola, la salute, noi stessi…
La società della decrescita non si basa sulla produzione di merci, bensì su quella di beni, di cose realmente utili al nostro fabbisogno. A stabilire se la nostra società sia in salute non può essere il PIL (il valore complessivo di merci e servizi prodotti), ma la disponibilità dei beni necessari a soddisfarne i suoi bisogni concreti.
A ben guardare l'aumento del PIL è inversamente proporzionale alla nostra serenità: un ingorgo di tre ore in autostrada sarebbe un aiuto per la crescita economica in quanto si utilizzerebbe una maggiore quantità della merce benzina, ma le persone coinvolte non sarebbero certamente felici di contribuire alla crescita del PIL. Al contrario, trascorrere una piacevole giornata in campagna, in compagnia dei propri cari, a contatto con la natura, magari guastando le produzioni di qualche contadino locale, sarebbe un danno per l’economia: ognuna di queste azioni non contribuisce alla crescita del PIL, anche se sicuramente ci rende felici!
Bisogna uscire dalla logica consumistica che il comprare è bello, che far girare l’economia ci rende persone migliori, bisogna considerare nocivo tutto ciò che è unicamente finalizzato a far crescere la produttività, al fare solamente perché bisogna fare, soprattutto perché, solitamente, alla base di queste produzioni non c’è una analisi seria delle conseguenze che possono derivarne per il pianeta e per il futuro nostro e dei nostri figli, in termini di inquinamento e di consumo di risorse finite.
Alla base della decrescita sta esattamente la consapevolezza delle catastrofi che la follia della crescita ha già causato: basterebbe vedere il video del premio Nobel Al Gore, “Una scomoda verità”, per capire quanti danni siano già stati fatti, danni che presto diventeranno irreparabili.
E le guerre per il petrolio, gli oltre 50 conflitti nel mondo per il controllo dell’acqua, la crisi finanziaria, ma anche l’emergenza rifiuti campana, gli scandali per le sofisticazioni alimentari, la precarizzazione totale del mondo del lavoro, sono alcuni fra i tanti segnali che mostrano come la vera utopia sia quella di pensare ad un mondo basato sulla crescita infinita: la decrescita può rappresentare la reale alternativa a questo distruttivo e irrazionale sistema, un’alternativa radicale ed incompatibile con esso.
Le 8 R della decrescita
Serge Latouche, un po’ il padre della decrescita, sostiene che, per abbandonare l’idea della crescita e quindi cercare il miglior modo di vivere, bisogna perseguire otto obiettivi: le 8 R!
- Rivalutare: bisogna cambiare la scala dei valori della società. L’altruismo dovrà prevalere sull’egoismo, la cooperazione sulla concorrenza, il piacere del tempo libero sull’ossessione del lavoro, la cura della vita sociale sul consumo illimitato, il locale sul globale.
- Ricontestualizzare: la società della crescita, per reggersi, ha bisogno di creare artificialmente bisogni e necessità per vendere sempre più merci. Bisogna ridare il giusto punto di vista alle cose, a partire dal contesto in cui si vive.
- Ristrutturare: bisogna (ri)creare i modelli di consumo, i rapporti sociali, gli stili di vita, per orientarli verso una società della decrescita.
- Rilocalizzare: consumare prodotti locali, decidere su scala locale, per bisogni locali. Se le idee devono ignorare le frontiere, i movimenti di merci e capitali devono invece essere ridotti al minimo, evitando i costi legati ai trasporti, sia in termini di infrastrutture che di inquinamento.
- Ridistribuire: garantire a tutti l’accesso alle risorse naturali e ad un’equa distribuzione della ricchezza, assicurando condizioni di vita dignitose per tutti.
- Ridurre: sia l’impatto sull’ambiente dei nostri modi di produrre e consumare, che gli orari di lavoro.
- Riutilizzare: riparare ciò che è guasto anziché buttarlo in una discarica; bisogna superare l’ossessione, funzionale alla società dei consumi, dell’apparecchio all’ultima moda o ultramoderno.
- Riciclare: recuperare tutti gli scarti non decomponibili derivanti dalle nostre attività.
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