Alcune riflessioni sull’esito del referendum al Porto di Gioia Tauro
L’esito del referendum al Porto di Gioia Tauro per ratificare l’accordo sulla cassa integrazione sancito dalla terminalista MCT e Cgil-Cisl-Ugl, ha avuto un esito inatteso quanto però da noi sperato.
Quel No infatti non rappresenta un mero cambio di equilibri sindacali all’interno delle maestranze gioiesi, ma un segnale inequivocabile che i Portuali non intendono barattare i propri diritti per il lavoro.
I Portuali di Gioia Tauro hanno avuto il coraggio e la forza di opporsi a quella deriva iniziata negli stabilimenti FIAT, dove Marchionne ha aperto la strada degli accordi in deroga, facendo strage dei diritti acquisiti e consolidati, con il sostegno dei sindacati complici, escludendo quelli che non ci stavano, anche se maggiormente rappresentativi. Tutti allora raccontavano che era il prezzo da pagare per mantenere i siti produttivi e l'occupazione, che la dignità e i diritti senza lavoro non servivano a nulla: non solo si sono persi diritti e dignità ma anche lo stesso lavoro è venuto meno. L'obiettivo reale era quello di rompere l'argine dei diritti e delle conquiste sindacali, costate lotte e sangue alle generazioni di lavoratori che ci hanno preceduti guidati da sindacati di classe, sindacati partecipati che avevano un rapporto diretto con i lavoratori che rappresentavano. Si è voluto invece mettere i figli contro i padri e i precari contro i lavoratori a tempo indeterminato, con il fine di livellare tutto verso il basso.
Quel No rappresenta anche la sfiducia, sempre più crescente, nei sindacati confederali, soprattutto dopo le recenti posizioni assunte in merito alle politiche nazionali, come l'abbandono della mobilitazione contro la peggiore riforma pensionistica che sia stata fatta in Europa, o come le mobilitazioni spesso annunciate ma mai attuate in opposizione alla controriforma del lavoro appena approvata dal parlamento che, fra i tanti aspetti negativi, abolisce in sostanza l’art. 18, simbolo dei diritti nel lavoro.
Con i Portuali di Gioia Tauro del Sul, che tanto si sono impegnati per la vittoria del No, abbiamo già condiviso altre battaglie, come quella ambientale contro l’inceneritore dei rifiuti che, insistendo in prossimità dell’area portuale, li espone insieme a tutta la popolazione della Piana ai rischi che derivano dal respirare i veleni che fuoriescono da quelle ciminiere, contro ogni logica di sicurezza prevista dal testo unico. Con loro ci siamo più volte confrontati sulle problematiche della portualità e delle condizioni e delle prospettive del lavoro, anche in occasione della presenza di Giorgio Cremaschi nel nostro spazio, condividendone le analisi.
Siamo consapevoli che lo sviluppo delle attività al porto di Gioia Tauro, e del conseguente mantenimento dell’occupazione, non possa essere unicamente concentrato sul transhipment e sulla elevata produttività dovuta alle performance dei lavoratori, anche perché ci sarà sempre chi costerà meno nel Mediterraneo. La grave responsabilità è di chi in tutti questi anni di sviluppo non abbia lavorato per promuovere l’intermodalità e avviare le attività di logistica del retro porto, così come di chi ha impedito l’ingresso a qualsiasi altra attività o imprenditore, lasciando MCT monopolista assoluto del porto.
Noi rimaniamo vicini ai lavoratori e ai loro rappresentanti che con questo voto hanno voluto invertire la rotta, rinnovando l’invito a continuare un percorso condiviso e inclusivo per costruire insieme un futuro migliore per la Calabria, fatto di lavoro, diritti e dignità.
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