Ma di quale ponte parlano?
Il governo ha confermato – stavolta ufficialmente – l’accantonamento del progetto del Ponte sullo Stretto, specificando nella finanziaria che le “risorse residue ad esso destinate verranno rifinalizzate in opere infrastrutturali e di difesa del suolo, urgenti e prioritarie per la Sicilia e la Calabria”.
Lungi dal sopirsi, come sarebbe logico, dibattiti e polemiche seguitano ad essere vivaci, alimentate soprattutto dagli amici della lobby, che si spingono fino ad annunciare un programma di realizzazione del progetto al di fuori dell’azione dell’amministrazione centrale dello Stato. Come spesso avvenuto durante la lunga storia del ponte, siamo tornati alle chiacchiere propagandistiche, visto che a meno di realizzare una megaopera abusiva, simili intenzioni sono vietate dalla Costituzione e dalle norme della Repubblica; evidentemente sono funzionali alla prosecuzione di sprechi e speculazioni finanziarie e politiche, che peraltro hanno già molto colpito intelligenza, pazienza e tasche di siciliani, calabresi, e ovviamente di tutti gli italiani. I pontisti, per poter continuare ad urlare, sono costretti a riportare indietro di una decina di anni i termini della discussione; infatti, ignorano importantissimi studi e ricerche che hanno illuminato la vicenda di fondamentali elementi chiarificatori e hanno portato su posizioni assai critiche non solo politici di centro sinistra, ma, insieme al Ministro Bianchi – che prima di essere un decisore è studioso e tecnico – gran parte della comunità scientifica nazionale.
Nelle prossime righe riportiamo una summa degli esiti di tali elaborazioni, per sottolineare ulteriormente come le urla pro ponte oggi costituiscano, tra l’altro, un rovesciamento dei reali contenuti della questione e quindi un gravissimo inganno per i cittadini della Sicilia e della Calabria.
Un’infrastruttura inutile anzi critica per il sistema dei trasporti: il ponte era stato concepito per servire il traffico di lunga distanza da e per la Sicilia; invece nello Stretto resterà in futuro sempre più una mobilità locale. Infatti il trasporto di lunga distanza ha subito nelle ultime fasi fortissime trasformazioni: gli spostamenti hanno abbandonato gomma e ferrovia, per aerei (i passeggeri) e navi (le merci). Gli attraversamenti di lunga distanza tra Messina e Villa e viceversa erano computabili in oltre undici milioni di unità nel 1985, sono calati a poco più di sei milioni e mezzo nel 2002. Intanto la Sicilia è passata da due aeroporti e tre piste a sei aeroporti e una dozzina di piste (traffico aereo +3200% circa!) ed ha scoperto di avere una decina di porti industriali, utilizzati poco o nulla per un’industria che, se c’era, se ne è andata, e stanno assumendo, per adesso senza politiche di incentivo, sempre più la configurazione di terminal commerciali. “Credevamo di studiare un’infrastruttura, invece studiavamo un monumento” hanno commentato i migliori studiosi di economia dei trasporti.
Dal punto di vista economico è fallita e tramontata la politica dei grandi poli industriali ed infrastrutturali, di cui il ponte sarebbe l’ultimo enorme colpo di coda: basta osservarne le macerie, da Priolo e Gela, da Milazzo a Termini Imerese. Oggi lo sviluppo della Sicilia può venire solo dalla valorizzazione sostenibile delle sue risorse territoriali e paesaggistiche, se fruite in maniera equilibrata e intelligente, piuttosto che essere degradate e distrutte da consumo intensivo e sfrenato. Peraltro se la continuità fisico- spaziale fosse elemento così strategico e strutturale per lo sviluppo, non si capirebbe perché la Calabria, pure saldamente attaccata al continente, continui a presentare, purtroppo, gli indicatori socioeconomici peggiori d’Italia.
Dal punto di vista occupazionale, basta leggere bene lo stesso progetto (che, al di là dei quasi quattrocento milioni di euro fin qui spesi, resta sostanzialmente sempre lo stesso schema di massima): lì si ammette che, con il ponte, almeno metà degli addetti ai traghettamenti pubblici e privati diverrebbero esuberi (saldo negativo di circa milleduecento unità). Ed anche durante i cantieri – che in ogni caso significano mano d’opera temporanea che poi torna disoccupata – le cifre sono assai più ridotte, diverse da quelle agitate dalla propaganda, se lette bene.
Dal punto di vista urbanistico, ambientale e paesaggistico l’operazione sarebbe un disastro: basta confrontare il progetto con le Linee Guida del Piano Territoriale Paesistico Regionale e con gli strumenti urbanistici dei Comuni interessati (si veda il rapporto dell’Ufficio tecnico del comune di Messina, preoccupatissimo per gli impedimenti che le attrezzature del Ponte avrebbero comportato rispetto a funzioni essenziali per la città). Laddove le città dello Stretto hanno bisogno di bloccare e riqualificare l’insediamento con operazioni “a grana fine” di ristrutturazione, ecofunzionale e tipomorfologica, si propone una megastruttura concepita per un’idea obsoleta di area dello Stretto che doveva puntare su grandi attrezzature e sui megapoli industriali di Milazzo, Gioia Tauro e Saline Jonica, mai realizzati. A fronte della riqualificazione sostenibile, l’attraversamento stabile rischia di produrre inaccettabili scenari di megalopoli da quarto mondo.
I gravissimi problemi ambientali che la struttura comporterebbe, soprattutto su Ganzirri e Costa Viola, in un’area quasi totalmente tutelata, non sono neppure affrontati nel progetto: la commissione VIA del Ministero dell’Ambiente del precedente governo è sotto inchiesta per “falso ideologico” dalla procura di Roma, per avere – sotto le pressioni dell’allora ministro delle infrastrutture e dei vertici dell’esecutivo – emesso parere, pure con moltissime prescrizioni, stralciando dai documenti ufficiali le osservazioni relative agli impatti più critici e irreversibili del progetto (In pratica, ministeri e CIPE hanno cancellato gli aspetti che erano di difficile e impossibile risoluzione, nonostante si trovassero di fronte a documenti ufficialmente e formalmente allegati alla procedura). Questo riguardava anche gli enormi problemi sismologici, che sembrano accentuarsi con l’avanzare di ricerche ed esperienza.
Per quanto riguarda il paesaggio c’è ormai una letteratura di insigni paesaggisti preoccupati della sfigurazione di una delle più grandi opere d’arte naturali della Terra: lo Stretto. Che con la paratia trasversale di oltre 1200 metri quadri (costituita dal sistema pilastri-reticolare) perderebbe l’unità scenografica, trasformandosi in una baia, gravata da coppie di “Torri Gemelle”, molto più alte delle massime alture esistenti in zona e da coacervi di svincoli e rampe.
Anche come simbolo, il progetto è vecchio: non a caso viene paragonato alla torre Eiffel (fine diciannovesimo secolo), al Golden Gate (inaugurato nel 1938 agli albori della civiltà dell’auto, mezzo da cui, quasi un secolo dopo, dobbiamo tendere a liberarci). Sono icone di una modernità passata. Oggi sviluppo sostenibile significa high tech e valorizzazione delle risorse ecologiche, proprio quelle che il Ponte negherebbe nello Stretto.
Negli studi da cui sono tratte le considerazioni sintetiche precedenti, si sono analizzati gli aspetti riguardanti impatti e pianificazione, economica, trasportistica, territoriale, ambientale, paesaggistica. Di recente un gruppo di tecnici, accademici – di cui diversi, già componenti del Consiglio Superiore dei Lavori pubblici – si sono soffermati sugli aspetti della costruibilità. Il rapporto finale ha rappresentato l’ ennesima bocciatura del progetto. “Esistono nel progetto di massima una trentina di parametri scoperti (compresi quelli sismologici), di cui almeno la metà insormontabili. Per cui eventuali ulteriori risorse impiegate in progettazione definitiva ed esecutiva appaiono illeggittime”. Tra l’altro gli studiosi di evoluzione delle tecnologie dei materiali impiegabili stimano in centoventicinque anni, ad essere ottimisti, l’orizzonte temporale per cui tutte le strutture finora previste possano essere effettivamente pronte per l’utilizzo. Ricordando che, ad oggi, la più lunga campata bifunzionale (gomma e ferrovia) esistente è di 550 metri e che anche l’Akashi in Giappone, nonostante l’enorme impegno tecnico, finanziario ed economico, alla fine è stato costruito come ponte monofunzionale viario.” Nel caso dello Stretto, peraltro, si tratterebbe di assicurare una campata quasi doppia”.
Questi sono i veri termini della questione: ignorarli significa agire per motivi estranei ad una corretta programmazione politica.
Alberto Ziparo
[docente presso la Facoltà di Architettura di Firenze, coordinatore delle ricerche universitarie sugli impatti del progetto del Ponte sullo Stretto e dei comitati scientifici delle associazioni ambientaliste (WWF,Legambiente,Italia nostra), estensori delle “Osservazioni al SIA” del medesimo]
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