La finanza creativa del ponte
Che un’opera di 6, 3 miliardi di euro abbia difficoltà a trovare finanziatori al tempo della crisi è una cosa ipotizzabile e, in una certa misura, nota. Ma la storia del Ponte sullo Stretto sta assumendo i caratteri del giallo. Si è annunciato che nel mese di dicembre 2009 verrà posta la prima pietra, ma in realtà si tratta della realizzazione di un’opera secondaria, lo spostamento di un binario ferroviario in località Cannitello con un costo di più di una decina di milioni di euro e per il quale pare non siano ancora state ottenute le necessarie autorizzazioni. In ogni caso è un’opera inutile e dannosa, soprattutto se il Ponte non dovesse, poi, essere costruito. Ma andando oltre queste amenità il vero problema è capire alcuni aspetti del finanziamento del Ponte. Autorevoli membri della maggioranza e del governo affermano che non costerà nulla alle casse dello Stato, il Cipe invece stanzia (?) a quanto dicono i comunicati stampa 1,3 milioni di euro, ma un partecipante alla riunione, l’assessore regionale calabrese Incarnato dichiara alla stampa che la delibera di finanziamento in realtà non è stata varata in quanto bloccata dal ministro Tremonti che ha chiesto certezze sui finanziamenti privati, prima di erogare i finanziamenti pubblici. A complicare il quadro vi è poi il ricorso sollevato dalla regione Calabria presso la corte costituzionale per denunciare l’assenza delle intese obbligatorie per la realizzazione dell’opera.
Vediamo di fare un po’ di chiarezza e di descrivere le cose come stanno.
Ci troviamo di fronte al tentativo, se reale o solo millantato non possiamo saperlo, di realizzare una grande opera senza un progetto neanche definitivo, senza un euro in cassa da investire, senza le ordinarie procedure autorizzative e con dei dubbi rilevanti sulla fattibilità tecnica dell’opera. Non ci soffermeremo sull’impossibilità di avviare le procedure espropriative in assenza di un progetto definitivo, né sulle carenze autorizzative e neanche sui dubbi tecnici, cose che rendono molto incerto il futuro dell’opera, ci soffermiamo, invece, sugli aspetti finanziari e sulla sostenibilità economica dell’opera.
Le finanze pubbliche non sono in grado di trovare risorse per finanziare l’opera, il taglio dell’ICI ha assorbito le poche risorse destinate al Sud, il terremoto in Abruzzo ha reso necessario l’impegno di ulteriori fondi, il mini-taglio delle imposte di fine anno dovrebbe raschiare il barile. Da qui la necessità di sbandierare ai quattro venti che il Ponte non costa nulla alle casse dello Stato. Però un’opera non si costruisce con le buone intenzioni e i soldi veri qualcuno li deve tirare fuori. Ed è a questo punto che entra in gioco la finanza creativa. I soldi stanziati (?) dal Cipe sono lo specchietto delle allodole, è un segnale agli investitori che lo Stato crede all’iniziativa e mette mano al portafogli. Sappiamo che in realtà si è trattato solo di un annuncio e che, trincerandosi dietro la richiesta di chiarezza sui soci privati, probabilmente il Ministero dell’Economia ha evitato di impegnare somme che sarebbe stato arduo reperire in questa congiuntura finanziaria. Con il miraggio dei soldi virtuali si è alla ricerca di soldi veri, e chi ha oggi i soldi veri? Le banche! Ma le banche non sono note per dare qualcosa senza una garanzia, soprattutto dare molti soldi per un progetto di dubbia sostenibilità economica e da cui potrebbero rimanere scottate. E allora ecco la furbata, un prestito garantito dallo Stato per finanziare il Ponte. Nel deserto dei finanziatori privati e di fronte alla renitenza della banche il prestito garantito dalla stato può essere una soluzione. Ma un prestito garantito dallo stato non è a tutti gli effetti debito pubblico? E se così stanno le cose non è vero che il Ponte è a costo zero per la finanza pubblica, anzi è totalmente a carico dello stato. Solo che questo finanziamento è diluito nel tempo e soprattutto imputato alle generazioni future. E’ in sostanza una sorta di debito pubblico occulto.
E’ opportuno spendere qualche parola sulla sostenibilità economica dell’infrastruttura. La Società Stretto di Messina, meno trionfalisticamente e più realisticamente di qualche anno fa, sta ipotizzando che il Ponte dia una redditività nei sessant’anni di concessione. Va detto che una qualunque infrastruttura che abbia tempi di ritorno superiori a 15 anni può esser catalogata come un infrastruttura “ fredda” ossia poco redditizia. Sessant’anni per ottenere un ritorno è un periodo troppo lungo per qualunque investitore. Ma la realtà è ancora peggiore. Il Ponte sullo Stretto non riuscirà mai ad avere un break-even per il semplice fatto che i costi di gestione e di manutenzione saranno sempre superiori ai ricavi, se realisticamente calcolati. Sarà, quindi, un’opera destinata ad assorbire flussi di cassa (pubblici) per ripianare i deficit annuali, con l’aggiunta che lo stato dovrà poi farsi carico di rimborsare il debito garantito. Lo Stato, quindi, in ultima analisi, si troverà costretto a pagare interamente non solo la costruzione, ma anche la gestione dell’opera. Per inciso le stime di redditività a sessant’anni includono un canone di più 100 milioni di euro pagato da RFI per assicurare il passaggio (la cui effettiva possibilità rimane uno dei punti critici della progettazione non ancora realizzata) di poche decine di treni. Se tra dieci anni RFI rivedesse questo investimento che per usare un eufemismo si potrebbe definire poco produttivo, ma che sarebbe forse più corretto chiamare spreco, il disastro finanziario sarebbe totale. Basterebbe dare uno sguardo alla salute finanziaria di altre infrastrutture simili, Euro-Tunnel e Golden Gate per capire come “l’ottimismo” dei conti della Stretto di Messina di un ritorno dell’investimento durante i sessant’anni di concessione che solo per assurdo può definirsi positivo, sia comunque molto lontano dalla realtà che invece ci porta a ipotizzare che il Ponte sullo Stretto sia un investimento caratterizzato da costi variabili costantemente superiori ai ricavi per tutta la durata dell’infrastruttura.
Alla luce dell’insostenibilità finanziaria si capisce bene come mai sono ormai molti gli annunci di date ipotetiche di ultimazione dei lavori che sistematicamente vengono spostate dopo ogni anno. L’aggiornamento ad oggi di questa lotteria fissa il 2016 come termine dei lavori. Non ci aspettiamo certo che qualcuno ci dica oggi che l’opera non si realizza perché si è capito che non è realizzabile, questo equivarrebbe a perdere un business enorme per le imprese interessate ed anche una leva propagandistica rilevante per la classe politica. Un ponte annunciato che non si costruisce è più utile di un ponte che si capisce che non si può costruire. Ma a questo punto consiglieremmo di non dare più date certe per la fine dei lavori.
I Testimoni di Geova nei primi anni di attività annunziavano date precise in cui a loro avviso si sarebbe verificata la fine del mondo. Oggi, dopo molte rettifiche, si limitano ad affermare che essa è imminente.
Anche la Società Stretto di Messina, anziché tediarci con annunci di ipotetiche date di fine lavori, potrebbe limitarsi a dire che la costruzione del Ponte sullo Stretto è solo imminente.
Domenico Marino
Professore di Politica Economica
Un. Mediterranea di Reggio Calabria
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