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Ottobre
23
2009

Ponte sullo Stretto. Le bugie sulla “finanza di progetto” e sui rischi per il territorio

Scritto da TerritoRioT

La recente tragedia di Messina ha riproposto con forza il dibattito circa l’opportunità di investire in grandi opere rispetto all’utilità di intervenire sul territorio con opere di prevenzione e contenimento del danno idrogeologico, a garanzia della sicurezza ed a tutela della stessa vita dei cittadini residenti in aree ad elevato rischio, quali quelle dei comuni dell’area dello Stretto di Messina.

Il Presidente della Repubblica ha sottolineato la priorità logica di questi ultimi interventi in luogo di “opere faraoniche”. Il Ministro Matteoli (e con lui altri esponenti del Governo), quasi rispondendo alla sollecitazione del Presidente, ha affermato che il ponte sullo Stretto non ha nulla a che vedere con le politiche di sicurezza e prevenzione del rischio idrogeologico nel messinese per almeno due ragioni:

  1. le risorse per il ponte sono di provenienza sostanzialmente privata, essendo legate alla realizzazione di uno schema di project financing, dunque tali risorse non sono stornabili per finalità differenti;
  2. se i cantieri fossero stati aperti il territorio sarebbe stato più sicuro (e la tragedia di Giampilieri sarebbe forse stata contenuta, se non evitata).

Le conclusioni di queste argomentazioni sono che: “il ponte non si ferma” e “i cantieri apriranno entro il 2010”.

Comprendiamo le esigenze della comunicazione politica e la necessità di rassicurare parte del proprio elettorato e della propria base parlamentare, ma vorremmo fare un po’ di chiarezza sui termini del discorso e sottolineare le imprecisioni con cui esso è argomentato.

Iniziamo dal primo punto. Le risorse del ponte sarebbero di provenienza prevalentemente privata (5 miliardi su 6,3, per un importo pari all’80% del costo complessivo – AGI, 7 ottobre). Allo stato non risulta sussistere alcun finanziamento privato per l’infrastruttura. E d’altronde non sarebbe possibile averne, visto che il progetto ancora non esiste, se non nella sua versione preliminare del 2002. Esiste invece una delibera di stanziamento dal parte del CIPE, che impegna il governo a destinare all’opera 1,3 miliardi in più anni, secondo disponibilità di bilancio. Gli unici soldi potenzialmente esistenti per il ponte sono dunque in questo momento di provenienza esclusivamente pubblica: stanziati dal Governo, ma non resi disponibili dal Tesoro, che ha assunto un impegno futuro, imprecisato nei tempi e vincolato alle effettive disponibilità del bilancio pubblico. In altre parole, al momento, in termini reali, non ci sono fondi né privati né pubblici.

Ma il primo punto contiene anche una seconda imprecisione quando invoca l’istituto del project financing.

A suo tempo l’A.D. della Stretto di Messina SpA, Pietro Ciucci, aveva affermato che si sarebbe trattato di finanza di progetto senza garanzia da parte dello Stato. La “finanza di progetto” prevede raccolta di “capitale di debito” che dovrebbe essere conferito dal mercato in ragione di valutazioni relative alla redditività del progetto; in assenza di garanzia formale da parte dello Stato, il rischio di progetto verrebbe sostanzialmente assunto dai finanziatori. Non è questo il caso del progetto del ponte sullo Stretto di Messina. Il piano finanziario originario prevedeva che la metà del costo stimato dell’investimento avrebbe dovuto essere reperito sul mercato dei capitali, tramite emissioni di obbligazioni. Allo stesso tempo, il piano di ammortamento rateizzava in due periodi di concessione il recupero del capitale investito.

E il Governo si impegnava, qualora i ricavi della gestione non fossero stati sufficienti, a “riscattare” l’opera alla scadenza della prima concessione (30 anni) per un importo massimo pari alla metà del costo dell’investimento.

In altri termini, se i ricavi del ponte non sono sufficienti, lo Stato “restituisce” al concessionario (la Stretto di Messina SpA) il 50% del valore investito: esattamente quanto sottoscritto dai privati. Tanto meno bene vanno i conti di gestione, tanto maggiore è la “restituzione” da parte dello Stato, fino a garantire totalmente l’emissione obbligazionaria. Come si fa a parlare di “rischio” assunto dai privati in ragione delle prospettive di rendimento dell’opera? In realtà il rischio è totalmente a carico dello Stato, mentre i privati sono in tutto garantiti dalla clausola sul “valore di riscatto”. È un project financing “taroccato” e garantito dallo Stato. Non a caso il meccanismo viene esplicitamente posto in essere per facilitare la “bancabilità” del progetto.

Sul secondo punto (“se i cantieri del ponte fossero stati aperti, il territorio sarebbe stato maggiormente sicuro”) vi sono aspetti di tragica comicità. È vero. La costruzione del ponte impatterebbe sul territorio urbano per circa 15 chilometri, circonvallando a monte un lungo pezzo di città; i lavori inoltre investirebbero la città fin nel cuore del suo centro residenziale, dovendo raccordare i tracciati autostradali e ferroviari con la rampa di accesso al ponte. Sarebbe un’invasione imponente e probabilmente non sostenibile da parte del tessuto urbano messinese. Ma, con buona pace del Ministro, non interesserebbe tutto il territorio comunale. E i luoghi della frana distano oltre 20 chilometri dal cantiere più vicino (via S. Cecilia, nel progetto preliminare) ed oltre 30 chilometri dalla rampa di accesso. Come avrebbe potuto un cantiere distante 25-30 chilometri preservare dalla frana un borgo medievale collinare come Giampilieri Superiore? In realtà i cantieri del ponte, lungi dal ridurlo, potrebbero incrementare il rischio idrogeologico della città, nella misura in cui il progetto preliminare prevede l’attivazione di sei discariche per il materiale di risulta, localizzate in zone vallive di impluvio, a ridosso di aree urbanizzate ed abitate: sei “tappi” che rischiano di saltare addosso alle case sottostanti alla prima pioggia significativa.

Poiché, per quanto detto prima, gli unici fondi virtualmente esistenti per il ponte sono di provenienza governativa, mentre non esiste un centesimo attualmente investito da soggetti privati, la “non stornabilità” delle somme è argomento privo di fondamento. Si tratta semplicemente di valutazioni di priorità e, nell’assenza: a) di disponibilità alternative per la sicurezza idrogeologica, b) di esistente concorrenza privata di fondi per il progetto del ponte, c) financo del progetto definitivo dell’opera, nulla osterebbe ad una scelta di responsabilità del Governo che destinasse lo stanziamento per il ponte al finanziamento degli interventi di prevenzione e contenimento del rischio sismico e idrogeologico per le città dell’area dello Stretto di Messina.

di Guido Signorino (Responsabile settore economico del Centro Studi per l’Area dello Stretto di Messina “Fortunata Pellizzeri”)